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Firenze capitale . Storia e trasformazioni, riflessione

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Firenze capitale . Storia e trasformazioni, riflessione Firenze capitale . Storia e trasformazioni, riflessione © n.c.
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Firenze capitale . In una qualsiasi società umana le ricorrenze, si sa, vanno e vengono. A volte scomode, spesso trascurate, sovente obliate e quasi sempre, credetemi, non capite. Infatti è questo il problema di fondo... la qualità del ricordare. Se ci pensate, anche i più modesti monumenti paesani servirebbero a simboleggiare un qualcosa o un qualcuno che, in un determinato periodo, ha reso un qualsivoglia contributo alla propria realtà. Quello che dovrebbe spaventare non è tanto l'odierno menefreghismo - da parte dell'Homo “semper-computer-connessus” - rispetto ai simboli che lo circondano, ma l'assoluto disinteresse a voler avere ogni tanto, con chi gli sta vicino, un dibattito costruttivo sugli eventi ricorrenti dei luoghi che lo circondano. Parliamoci chiaro: man mano che si cresce, i compleanni assumono significati differenti. Primavera dopo primavera, la torta, le candeline e le stelle filanti non stimolano più le stesse emozioni di un tempo e, se un minimo si ragiona, in quella data X del calendario, per un attimo una breve considerazione su quello che c'è stato fino ad allora e ciò che ci sarà dopo, dovrebbe accompagnare lo scartare dei sempre più modesti regali. E' complesso trattare tali argomentazioni senza scadere nell'antipatica retorica delle frasi fatte e dei sentimenti da cineteca sdolcinata. Ma se non si porranno presto alcuni argini a questa ignoranza dilagante intorno ai problemi legati ad una rivalutazione costruttiva dei nostri “intimi” circondari, ci ritroveremo - in un futuro non tanto prossimo - a domandarci il perché di tante cose ovvie o, peggio, a costruirci leggende inverosimili. Il 3 febbraio, nella splendida cornice di Palazzo Vecchio a Firenze, si è “ricorso” a celebrare i 150 anni di un fatto - spesso e volentieri sottovalutato - che ha permesso, tra le varie cose, alcuni emblematici mutamenti architettonici. Si “festeggiava” il secolo e mezzo da quando il nostro odierno Capoluogo di Regione, da essere Capitale del Granducato di Toscana, nel 1865 - per soli sei anni - passò ad essere Capitale della nuova realtà italiana. Ecco, in questo 3 febbraio 2015, il tutto è stato rappresentato come un “brand” senza spirito critico, dove  considerazioni e dibattiti non sono stati  protagonisti - a mio modesto parere - come avrebbero dovuto, lasciando spazio al fotografare discendenti immemori di “attori” di una realtà politica oramai “trascorsa”, le cui ragioni d'essere andrebbero spiegate meglio alle nuove generazioni con cognizione di causa e non come in uno sgualcito sussidiario degli anni settanta. Fortunatamente, altre istituzioni e fondazioni - l'Archivio di Stato di Firenze, per esempio - hanno ritenuto utile  mettere in atto mostre tematiche esplicative del complesso periodo attraversato da Firenze in quegli anni, quando  uno “scellerato” - non solo a parer mio - piano urbanistico mutò per sempre l'impianto medievale di una città la cui classe dirigente del tempo era consapevole - e questo è l'abominio – che Firenze sarebbe stata solo un “punto di appoggio” per il futuro trasferimento della Capitale a Roma. La Capitale del neo Stato Italiano passò dunque da Torino - dove ci furono tafferugli, corredati da diverse vittime, per evitare lo spostamento – al Capoluogo toscano, per poi essere definitivamente trasferita nel 1871 nella Città eterna. Firenze fu ritenuta maggiormente idonea di altre al ruolo di “Capitale interinale” per vari motivi: era più vicina a Roma di quanto non fosse Bologna e più difendibile militarmente di Napoli. Una volta che Vittorio Emanuele II, dopo un celebre viaggio in treno, giunse nella città toscana, così diversa dalla sua Torino, iniziò il suo alloggio a Pitti, già reggia - prima della sua venuta - di ben altri mecenati. La municipalità fiorentina, spronata dalle esigenze recettive dei nuovi ministeri - con tutto quello che ciò comportava - oltre che dalla volontà di scimmiottare impianti urbanistici propri di alcune grandi capitali europee, nonchè altri - ovvi - interessi, approvò un nuovo piano regolatore che indicò parte del centro storico assieme alle mura cittadine ed altro... da demolire. Se uno si prendesse la briga di leggere i giornali ed i libri scritti in quei frangenti, capirebbe quanto fu acceso il dibattito in merito all'opportunità o meno ed all'approvazione dei vari ed eventuali  progetti proposti e di come la messa in opera di un eclettico “Risanamento” di parte del tessuto urbano non fosse considerata in maniera pacifica da tutti; e di come da allora la nostra città, cantata non solo dai poeti per le sue caratteristiche architettoniche, consapevolmente perse il suo vero volto. D'altronde, la storia la scrive chi vince e su tutte queste accese polemiche si è persa nel presente la cognizione. Fortuna volle che alcune nuove opere vennero “disegnate” dall'architetto Giuseppe Poggi, risultando espressione di grande intelligenza. Non vorrei pensare cosa sortirebbe fuori se il tutto fosse da progettarsi oggi! Purtroppo, levati alcuni paesaggisti, cronisti e fotografi, rimangono poche testimonianze di come dovevano essere molti “angoli” di quell'antica  parte di città sventrata. Sicuramente, se oggi si valutasse tutto in una prospettiva economico-turistica, il mantenimento od il restauro rivalutativo di una tale e propria struttura architettonica sarebbero stati una risorsa in più. Senza entrare in sterili polemiche, sarebbe bello che chi è a capo delle “amministrazioni” attuali, aiutasse i giovani a capire il perché ci siano state tali trasformazioni e rispetto a cosa. Sarebbe obbligo per una società (re)interrogarsi sui suoi trascorsi, senza far sembrare tutto una “cartolina spedita”. Dare gli strumenti ai giovani per obbligarli a porsi continue domande su come ed in che modalità l'atterramento di molti cimeli medievali abbia consentito l'innalzamento per es. di una anonima Piazza della Repubblica e zone limitrofe o la distruzione della Loggia dei Pisani e suoi annessi in Piazza della Signoria. Su come l'espressione di una società abbia cancellato quella della sua precedente. Su quante speculazioni, buchi di bilancio ed altro - nulla di nuovo sotto il sole - avvennero. Certo, da allora abbiamo il Piazzale Michelangelo, da cui - è bene sottolinearlo - la bellezza è su quello che si guarda. Anche se negli ultimissimi anni si è violentato ancor più l'orizzonte con un Palazzo di Giustizia, le cui forme - per decenza, pur essendo mio diritto di cittadino farlo - mi astengo da commentare. Le ricorrenze servono per far capire. E' inutile festeggiarle solamente, soprattutto nella consapevolezza dello scarsissimo interesse attuale su questi fatti. E come diceva con lungimiranza il pittore Silvestro Lega nell'osservare la violenza attuata dai picconatori nell'ex ghetto fiorentino in quegli anni: "Non piango per quello che buttano giù, ma per quello che tirano su". Usiamo il cervello!

 

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