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Forteto, la delusione di una cittadina: "Sentenze che lasciano il segno e molti dubbi"

Una lettrice esprime amarezza e interrogativi sulla sentenza del Tribunale del Lavoro di Firenze: “Giustizia per le vittime ancora lontana”.

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"Le sentenze si rispettano, ma spesso danno da pensare." Così inizia la lettera di una nostra lettrice che, con grande amarezza, commenta il respingimento della richiesta di riconoscimento avanzata da due vittime del Forteto (articolo qui). La sentenza del Tribunale del Lavoro di Firenze ha escluso qualsiasi vincolo di subordinazione per i ricorrenti, negando loro il diritto al riconoscimento pensionistico. Un verdetto che riapre ferite mai chiuse e alimenta dubbi profondi sulla coerenza tra le condanne penali inflitte ai responsabili e il mancato riconoscimento dei diritti delle vittime.

Le sentenze si rispettano ma spesso danno da pensare.
Proprio ieri sera al TG regionale ho sentito la notizia del respingimento della richiesta di riconoscimento dei contributi INPS non versati avanzata al tribunale del lavoro di Firenze da parte di due vittime del Forteto. La notizia è stata data in due secondi senza alcun approfondimento o commento. Sono andata a rileggere l'intervento di Sergio Pietracito, Presidente dell'Associazione vittime del Forteto, pubblicata su questo giornale, e mi sono chiarita le idee. In base alla sentenza di primo e secondo grado emessa dal Tribunale del Lavoro di Firenze i ricorrenti, le due vittime del Forteto, non possono ottenere il riconoscimento pensionistico dei contributi INPS non versati perché avrebbero lavorato “senza alcun vincolo di subordinazione”, in altre parole avrebbero scelto di aderire a un ente (una cooperativa) condividendo una situazione di parità con gli altri soci.

Qui sorge il primo dubbio: se fosse così non avrebbero dovuto spartirsi anche gli utili, oltre che il duro lavoro quotidiano?
Non risulta assolutamente. Allora siamo in presenza di due folli che volontariamente sono entrati nell'inferno del Forteto (ma all'inizio non sembrava tale), accettandone regole e soprusi. E chi tentava di fuggire veniva ripreso e picchiato. A suffragare l'affermazione precedente della coercizione e della brutale violenza c'è la sentenza di condanna del Fiesoli che parla chiaro al riguardo, basta rileggere il corsivo dell'intervento di Pietracito su questo giornale.

Io sono andata a rileggere le parole pronunciate dal Pubblico Ministero Ornella Galeotti, responsabile della condanna di Fiesoli, durante l'audizione presso la Commissione d'inchiesta parlamentare sul Forteto (2015), da cui risulta con chiarezza cristallina che perfino l'accoglienza dei minori aveva “natura economica” (si facevano lavorare anche i bambini, per i quali tuttavia non si percepivano contributi dallo Stato, come se si trattasse di un'opera di misericordia, gratis et amore dei). Non solo: afferma la Pm che il Forteto aveva bisogno di “forza lavoro” e “ha goduto di una manovalanza gratuita”.

Ritorna il tema della sentenza del Tribunale del lavoro di Firenze: i ricorrenti davvero non avevano alcun vincolo di subordinazione in quel contesto?
E perché non si versavano i contributi all'INPS come previsto dalla legge?

Abbiamo capito da tempo che il Forteto era una zona franca nel Mugello delle percentuali bulgare a favore dei partiti di sinistra, i cui dirigenti evidentemente soffrivano di strabismo e non percepivano le palesi violazioni delle leggi, oserei dire UMANE prima che civili, la cui applicazione reclamavano a gran voce nei confronti dei governi. Ma il Forteto era, e forse è tuttora, intoccabile. Non a caso il fondatore vive tranquillo fuori dal carcere e di certo custodisce segreti su fatti e persone che, in cambio del silenzio, gli garantiscono una vecchiaia serena.

Invece i nostri ricorrenti al Tribunale del Lavoro di Firenze una vecchiaia serena se la sognano! Hanno lavorato come animali da soma e, dopo la sentenza di condanna del Fiesoli, hanno nutrito la speranza di poter recuperare almeno in parte il frutto delle loro fatiche.

E qui un'altra domanda sorge spontanea:

Il Tribunale del Lavoro non ha ritenuto che la logica conseguenza di quella sentenza sia il diritto sacrosanto dei lavoratori ad un riconoscimento congruo?

Perché no?

Francamente non riesco a capire, a meno che il diritto penale non sia rigidamente separato da quello civile. In altre parole, se io lavoro per un delinquente e questo non mi paga e non paga i contributi, ho diritto o no a un riconoscimento?

Che dicono i sindacati al riguardo? Se questa sentenza dovesse “fare scuola” mi domando che ne sarebbe di tutti i lavoratori sfruttati e soggetti a comportamenti di coercizione. Penso per esempio agli immigrati che, durante l'estate, lavorano nelle campagne del sud a raccogliere pomodori e sono soggetti alla violenza di datori di lavoro senza scrupoli e di caporali violenti.

Si abbandonano al loro destino?

La dottoressa Ornella Galeotti ebbe a dire in Commissione: “ho visto cose accadere in questo processo che non ho visto quando lavoravo in Calabria”.

La conclusione è amarissima: la Toscana democratica e libertaria famosa nel mondo, la Firenze capitale del Rinascimento, la patria dei nostri padri e nonni partigiani è scaduta al livello della Calabria dei malavitosi (il mitico Aspromonte) e della famigerata ndrangheta. E quanto all'omertà ha superato la Sicilia da un bel po'...

Per quanto mi riguarda, il caso Forteto ha fatto da spartiacque: prima credevo nella magistratura e la rispettavo, dopo ho smesso di crederle a prescindere, voglio rendermi conto e capire e non intendo rispettare chi commette errori macroscopici senza mai pagarne le conseguenze (uno per tutti il caso Tortora, ma ce ne sono tanti altri in giro per l'Italia).

Una cittadina molto delusa

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